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Per una selva oscura. Come trasformare il dolore in un talismano che cura
15/02/2020
A.V.A.D. propone il seminario partendo dall'esperienza del "prendersi cura delle persone" dove l'incontro con il dolore, con
difficoltà di ogni tipo ha permesso di vedere come da eventi negativi parte la spinta giusta per evolvere e scoprire in noi risorse
e capacità che non sapevamo nemmeno di avere.Se vivessimo solo in condizioni positive, non potremmo scoprire quei lati della
personalità che ci rendono più solidi.La capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi è detta “resilienza” ma in
psicologia è un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare
positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre,
senza alienare la propria identità. È una forza che arriva da dentro e che ci porta a trasformare il dolore in risorsa, tanto da trarre
beneficio da quello che all’inizio sembrava solo qualcosa di negativo.La resilienza, se allenata e sviluppata, cambia la prospettiva
della vita perché ci mostra lati di noi stessi che non sono facili da cogliere in situazioni di vita positive.
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IL MEGLIO DI NOI una risposta a morte e sofferenza
15/12/2019
ESce su TOSCANA OGGI un articolo di presentazione e commento al docufilm IL MEGLIO DI NOI per la regia di Maria Erica pacileo e Fernando Maraghini
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"IL MEGLIO DI NOI"docufilm sulla resilienza
05/12/2019
L’Associazione volontari assistenza domiciliare  (AVAD) presenta GIOVEDI’ 5 dicembre ore 20,30 alla Casa dell’energia via Leone Leoni 1 Arezzo,  il docufilm «Il meglio di noi », per la regia di Maria Erica Pacileo e Fernando Maraghini. Il documentario, è un’azione del progetto «Orizzonti illimitati  » finanziato dalla Fondazione Prosolidar con la partnership di ASLsudest Toscana, CESVOT regionale, TSD e Fezfilm.
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La scuola italiana di medicina e cure palliative
09/01/2016

“Le cure palliative guardano alla qualità della vita residua, non alla sua soppressione. Noi come medici abbiamo il dovere di capire le cause di questa richiesta e di cercare di risolverle. Il malato che chiede di essere aiutato a porre fine alla propria esistenza, nella maggior parte dei casi, è in preda al dolore, non ha supporto psicologico e spirituale, si sente di peso. Vive un'esperienza umana disperata e insostenibile. Il lavoro di questi anni come medici palliativisti ci ha insegnato che quando si elimina la sofferenza fisica utilizzando in modo appropriato la morfina, si garantisce un'assistenza infermieristica adeguata, si riempie il vuoto di comunicazione che si crea intorno a questi malati (la morte oggi è un tabù), la richiesta eutanasica scompare o si attenua. Per arrivare a questo risultato non basta il medico: non a caso operiamo come unità di cure palliative, equipe dove sono presenti infermieri, assistenti sociali, psicologi. Detto questo, sarebbe ipocrita nascondere che, pur garantendo al malato la miglior assistenza possibile, esistono forme di sofferenza, soprattutto psicologica e morale, che il medico non è in grado di vincere e che espongono il malato alla tentazione dell'eutanasia. Tentazione che, però, non può essere accolta dal medico: le cure palliative come sono contrarie al ritardare la morte con inutili accanimenti terapeutici, così si oppongono agli interventi per accelerarla”.
Le parole di Vittorio Ventafridda


Scarica l'allegato - (La_scuola_italiana_di_medicina_e_cure_palliative.pdf)